GASPARA STAMPA
Gaspara Stampa, poetessa del Rinascimento, nacque a Padova nel 1523 da una famiglia di origine milanese, nobile ma decaduta economicamente, tanto che per sopravvivere si era dedicata al commercio. Nel 1531, in seguito alla morte del padre, Bartolomeo, la madre Cecilia si trasferì a Venezia portando con sé Gaspara insieme agli altri due figli, Cassandra e Baldassarre. Nel capoluogo veneto i tre giovani ebbero modo di frequentare i salotti letterari, dove le ragazze si esibivano come cantanti e suonatrici di liuto (lei stessa era cantante e suonatrice) e Baldassarre si faceva apprezzare per le sue doti di poeta. Anche la loro casa divenne un centro di vita artistica e mondana, frequentato dai nobili e dai letterati del tempo, attratti dalla bravura e dalle grazie delle fanciulle, ma un tragico evento, la morte di Baldassarre avvenuta nel 1544 quando il giovane era appena ventenne, turbò la loro vita. Gaspara ne rimase particolarmente colpita, tanto che abbandonò la vita mondana e per un breve periodo pensò, su sollecitazione di una suora, Paola De Negri, di prendere l’abito monacale. Poi, messa da parte questa idea e superato il dolore, ritornò alla vita salottiera e frequentò alcune Accademie, come quella dei Dubbiosi, assumendo il nome di Anassilla (da “Anaxum”, nome latino del fiume Piave); ebbe rapporti anche col circolo di Pietro Aretino e con la Compagnia della Calza, partecipando alle feste da questa organizzate. Ma ciò che più incise sulla sua vita fu l’amore che nutrì per il conte Collaltino di Collalto, amore da lei vissuto molto intensamente, che però non fu ricambiato. Morì nel 1554, all’età di appena 31 anni, distrutta da una febbre intestinale; ma si sospettò di un suicidio, non comprovato, per avvelenamento. Di lei ci rimane un “Canzoniere”, una raccolta di 311 componimenti, tra sonetti, madrigali, canzoni, sestine, capitoli, pubblicato a cura della sorella Cassandra subito dopo la sua morte, e ripubblicato intorno alla metà del 1700 per iniziativa del conte Antonio Rambaldo di Collalto, discendente di Collaltino, per annoverare Gaspara tra le glorie di famiglia. Fu una semplice ragazza innamorata o una cortigiana, come alcuni sospettano? Una risposta precisa non è possibile darla. Certo è che Venezia a quei tempi, oltre a essere una potenza mondiale, era anche, a detta di molti, la capitale del sesso, caratterizzata da una cultura raffinata, perciò vi abbondavano i salotti letterari e mondani, frequentati dalle donne erudite e dell’alta società, e molte erano poetesse e cortigiane. Cortigiane oneste si chiamavano, cioè d’alto bordo (per distinguersi da quelle di strada, dette “di lume”, perché, per farsi riconoscere, accendevano un lume alle finestre delle loro abitazioni) ed avevano una clientela molto selezionata, formata da nobili, uomini danarosi e anche da parecchi alti prelati. Ma, mentre per altre poetesse, come ad esempio Veronica Franco, le cronache dell’epoca riferiscono esplicitamente di tale attività, per quanto riguarda Gaspara non sono altrettanto chiare. È vero che fu assidua frequentatrice di salotti e amante della vita di società, per cui, come si è detto, alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che fosse una professionista d’alto rango, ma è soltanto un’ipotesi non suffragata da documenti ufficiali, a cui è difficile credere, date le caratteristiche del personaggio che emergono dai suoi scritti. Di lei si ha notizia certa soltanto di due amori. Il primo – l’abbiamo già accennato – fu quello verso il conte Collaltino di Collalto, suo coetaneo, che frequentava la sua casa. L’altro fu per un nobile veneziano, Bartolomeo Zen, ma fu un amore di ripiego, perché la ragazza continuò ad amare, e disperatamente, Collaltino, a cui dedicò gran parte delle sue Rime che, composte secondo il modello petrarchesco, sono da annoverare tra le liriche più significative del ’500. “Umanamente complesso, ricco di moderna psicologia”, come ha scritto il critico Daniele Ponchiroli, il Canzoniere di Gaspara è l’espressione di una poesia libera dalla retorica che caratterizzava il petrarchismo di quel periodo, e connotata dalla spontaneità e dalla sincerità dei sentimenti: un lacerante soliloquio interiore, una sorta di diario, di storia di un’anima da cui trapela la felicità dei momenti d’amore, ma soprattutto le ansie, i turbamenti, le gelosie e il dolore di una donna che è consapevole di vivere un amore non ricambiato. Per tale ragione e in virtù della sua breve vita finita tragicamente, i poeti romantici paragonarono Gaspara a Saffo, anch’essa morta suicida per un amore non corrisposto. Una poetessa dal sentire profondo, che la critica letteraria deve assolutamente riscoprire e riproporre in un mondo, quello odierno, caratterizzato da tanto, vuoto parlare, da tanto spettacolo e superficialità.
VITTORIO VERDUCCI
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